Uno dei beni più importanti di cui tutti i cittadini possono godere è un ambiente sano e un territorio curato. La responsabilità della politica dovrebbe garantire il rispetto di questo diritto dei cittadini. Purtroppo questo non avviene nella Provincia di Varese.
NUOVO PROMEMORIA LAGO DI VARESE
Appunti prima parte
Situato nella zona dei laghi subalpini italiani, il Lago di Varese (anticamente anche di Gavirate o per riferimento generico ai “laghi di Varese”[1], con il territorio circostante ha l’assetto attuale dopo l’ultima grande glaciazione [2], praticamente circa 15.000 anni fa, anche se solo successivamente e gradualmente la diminuizione del livello delle acque lo ha definito autonomamente rispetto ai bacini dei laghi di Comabbio e Monate, alla Palude Brabbia ed al “Laghetto” di Biandronno.
Lo specchio d’acqua – “Creato in seguito alla riescavazione glaciale in depositi morenici e ghiaie cementate anteriori all’ultima espansione würmiana, il substrato roccioso è formato da calcari del periodo giurassico che si sono sovrapposti, costituendo il vero e proprio substrato del lago, ad una successione di arenarie, calcari marnosi, marne e argille in strati sottili e medi, affioranti in diversi punti della costa. Il substrato roccioso della parte meridionale della conca lacustre è formato da Gonfolite, inoltre al di sopra di queste rocce, della parte meridionale dell’antica conca lacustre” sono presenti depositi limosi argillosi con torbe, che costituiscono i resti della parte meridionale dell’antica conca lacustre” [3]– è compreso tra il pendio di mezzogiorno del massiccio del Campo dei Fiori (mt. 1226 s.m.) ed un arco di colline costituite appunto dai depositi morenici e da ghiaie cementate. Ha una superficie di 14,8 Km² mentre il bacino idrografico (l’area che fa defluire le sue acque verso il lago), è di 112 Km². Contiguo, geologicamente analogo ed affluente tramite il Canale Brabbia è il lago di Comabbio, con un bacino idrografico di 15,3 Km² ed una superficie lacustre di 3,59 Km². Unico emissario del tutto il Fiume Bardello, che sfocia nel Lago Maggiore. Nella descrizione del sistema idrografico sono compresi senza autonoma rilevazione la Palude Brabbia ed il “Laghetto di Biandronno. [4]
Il Lago di Monate, pur analogo nelle origini geologiche ed integrato nel compendio ambientale e paesistico ha un autonomo bacino idrografico (Bacino 6,3 Km² Superficie 2,51 Km² ) tributario del Lago Maggiore tramite il Torrente Acquanegra.
[1] In effetti quest’ultima sembra la denominazione più sensata, si tratta di un sistema di laghi, ognuno con il nome del paese più vicino: Gavirate, Comabbio, Monate, laghetto di Biandronno, Palude Brabbia e riferimento di sintesi al capoluogo Varese che, fino al 1927, non confinava con il lago.
[2] Glaciazione wurm durata 110.000 anni e terminata intorno al 12.000 a.c.
[3]–La descrizione “tecnica geologica” è ripresa dalla pubblicazione: Osservatorio dei Laghi Lombardi “Qualità delle acque lacustri in Lombardia 1° APPORTO OLL 2004” Regione Lombardia, ARPA Lombardia, Fondazione Lombardia per l’Ambiente e ISA/CNR, 2005. A questa pubblicazione, ricchissima di dati soprattutto sulla qualità chimica e biologica delle acque si fa riferimento nella versione online – non essendosi reperita la versione cartacea dotata altresì di un CD-Rom allegato – per dati tecnici e geologici dei Laghi qui citati, in particolare oltre al Varese, a quelli di Comabbio e Monate.
[4] Sui dati di superficie occorre un chiarimento: I dati OLL citati non combaciano con i corrispondenti dati dell’ “ALLEGATO 1 AQST “SALVAGUARDIA E RISANAMENTO DEL LAGO DI VARESE” pubblicato sul sito AQST dove con un’illustrazione si presenta il bacino imbrifero comprendente anche lo specchio del lago di Comabbio (oltre ai bacini minori), ma la superficie del lago sembra limitata a quello di Varese. I dati delle schede OLL soprariportati identificano autonomamente i due bacini e quindi i dati geografici sembrerebbero sommabili.
Caratteristica dei Laghi è di non avere immissari idrici superficiali importanti ma di disporre di sorgenti subalvee, solo in parte rilevabili. Per il Lago di Varese, l’ampio pendio del Massiccio del Campo dei Fiori supporta numerosi alvei superficiali a regime torrentizio, con periodi di secca. Unica eccezione il “Tinella” originato da sorgenti in corrispondenza dell’abitato di Luvinate e che conserva una portata perenne pur limitata, un tempo utilizzata con varie derivazioni per forza motrice. Va detto per il Campo dei Fiori che, trattandosi di un massiccio calcareo, con presenza di fenomeni carsici [5], ha la caratteristica di assorbire la precipitazioni in quota e di farle riaffiorare, tramite sorgenti, a partire da una quota di circa 500 m.s.m. Da queste sorgenti si sono storicamente riforniti gli acquedotti degli insediamenti locali, è tuttora collegata all’Acquedotto comunale di Varese una importante sorgente a Luvinate, nella valle del Tinella.[6]
[5], Si ritiene che il massiccio calcareo del Campo dei Fiori – come altri rilievi analoghi, in particolare il Monte Baldo sul Lago di Garda – sia stato durante le glaciazioni una sorta di isola emergente da un enorme massa di ghiacci, percorsa da correnti d’acqua che hanno creato importanti fenomeni carsici, oggi esistenti e in parte noti anche se praticamente inattivi. Traccia di ciò anche nella flora, con l’esistenza di specie endemiche caratteristiche di climi glaciali.
[6] Altre importanti sorgenti provenienti dal Campo dei Fiori ed allacciate ad acquedotti, quella di Orino, la Fonte del Ceppo presso Santa Maria del Monte a Varese.
Il Lago di Varese (o forse meglio la zona dei Laghi Varesini) costituisce un compendio naturalistico, paesistico e storico di grande valore, citato con ammirazione e celebrato nel tempo in ogni sede, nonchè portatore di grandi potenzialità culturali e turistiche.
Merita una citazione specifica, per importanza, l’Isolino, piccola emergenza di meno di un ettaro con nucleo interrato roccioso vicino alla sponda lacuale di Biandronno, ove è localizzato un grande insediamento preistorico palafitticolo indagato fin dall’800 e tuttora oggetto di ricerche e studi insieme ad altri minori in varie località del lago.
Nel tempo il Lago è stato anche una grande risorsa economica, primariamente per la sua grande pescosità costituente un potenziale produttivo rilevante [7] portando i prodotti della pesca fino a Milano; è stato anche inserito nel ciclo economico agricolo tradizionale per la produzione di arelle (“cannette”, con ampio uso in edilizia) e di erbe palustri [8].
Come possa essere che conservazione e tutela di un bene naturale così importante ed apprezzato sia diventato un problema ad oggi irrisolto, trascinato nel tempo da circa sette decenni, è tutto da valutare, con implicazioni tecniche, sociali ma soprattutto culturali e politiche dibattute e controverse.
Quanto emerge è che l’obbiettivo del risanamento necessita di chiarezza, serietà ed ampia e seria volontà collettiva, in un ambito di trasparenza, per l’avvio di un ciclo positivo che certamente può conseguire l’obbiettivo in tempi accettabili.
Si può partire dal fatto che il problema essenziale del Lago sia lo stato di inquinamento delle sue acque, con una valutazione storica.
Tradizionalmente, praticamente ovunque, le comunità umane hanno utilizzato le acque scorrenti superficialmente sul suolo, oltre che come fonte di vita e di energia, anche, in seconda linea, come veicolo per smaltire i propri reflui reimmettendoli in pratica nel ciclo naturale. [9]
Una teoria peraltro confortata dai fatti, in quanto effettivamente le acque libere hanno una propria capacità autodepurativa, oggi misurabile e prevedibile, basata su una “flora batterica” [10] naturale favorita dall’ossigenazione capace di demolire le molecole dei materiali organici inquinanti e ridurle ai componenti base. [11] Più o meno il processo su cui è basato il procedimento depurativo “biologico” nei depuratori.
[7] La pesca nel Lago, oltre che base di sussistenza per la popolazione locale fu molto importante a livello più ampio territoriale, tanto da essere – a partire dal dominio spagnolo su Milano – oggetto di privilegio sui diritti di pesca, tuttora in capo alla Società Cooperativa Pescatori del Lago di Varese che lo ha acquisito nel 1922 in base al T.U.sulla pesca n. 160471931, art. 26 . Esiste ampia bibliografia in materia, si segnalano qui due pieghevoli “detours SUL LAGO DI VARESE” e “il lavoro del pescatore” editi a cura della Associazione Culturale TERRA INSUBRE .
[8] Ad esempio, la “lisca” materia prima per l’impagliatura delle sedie, un tempo diffusissima..
[9] Celebre un’antica iscrizione presso l’Abbazia di Fontenay in Borgogna: una lode al fiume che attraversa l’Abbazia, fornendo l’acqua per la vita, azionando con la sua energia il maglio ed il mulino, poi purificando indumenti e suppelletili con il suo lavaggio, ed infine trascinando con sè tutti i rifiuti, lasciando tutto mondato e vitale.
[10] Termine poco scientifico ma molto usato.
[11] Un detto dialettale, a proposito delle acque libere dei ruscelli che veniva utilizzata per bere, asserisce che “quando l’acqua ha fatto tre cadute, chiunque la può bere” (in dialetto “ quand l’acqua l’ha fai tre tomm, la pö bêv qualchesia galantomm” )
Su questa linea si è arrivati fino agli anni ’50: gli insediamenti residenziali ed agricoli (spesso commisti) usavano normalmente i corsi d’acqua superficiali per lo smaltimento delle acque reflue, ma i reflui erano in misura limitatissima in quanto le deiezioni umane ed animali erano un fertilizzante abbastanza apprezzato e che non si doveva buttare via, l’acqua, in quantità necessariamente piccole, era spesso ricavata dai pozzi o dalle fontane, quella di acquedotto era prerogativa dei soli centri cittadini. Nei centri dove c’era necessità di smaltimento dei liquami si collegavano le abitazioni ad un circuito fognario che le portava fino ad uno smaltimento consistente semplicemente in un utilizzo agricolo.[12] Si trattava di un sistema idrico “di fatto” che, con l’aiuto della citata capacità autodepurativa ha mantenuto – almeno nel bacino del Lago – un equilibrio sufficiente per un ambiente idrico normale
Un sistema che, con la modernità, in pochi anni è andato in crisi. Mettendo in fila:
- L’introduzione praticamente contestuale dei moderni impianti igienici domestici, dei sistemi di lavaggio casalinghi (si pensi alle lavatrici) e dei detersivi ha fatto esplodere i consumi idrici ed i corrispondenti reflui da smaltire, tra l’altro introducendo nel ciclo i detersivi con alta presenza di Fosforo;
- L’aumento esponenziale degli insediamenti industriali e artigianali con ampio uso di composti chimici innovativi da smaltire come reflui liquidi, nelle normali canalizzazioni senza che alcuna disposizione od accertamento ne verificasse la compatibilità con l’ambiente fino alla tossicità;
- L’espansione degli insediamenti residenziali e produttivi sul territorio, comportante necessariamente la formazione di una rete “di fognatura” imperniata anzitutto sugli alvei naturali, spesso coperti o intubati, integrata da diramazioni realizzate con qualità del tutto inadeguata. Il tutto con recapito finale appunto nel Lago, e necessariamente in stretta e spesso voluta coesistenza tra le acque reflue di ogni tipo, le acque meteoriche e quelle originarie sorgive naturali. [13]
La definizione più appropriata è: disastro ne può essere consolante la constatazione che si è trattato di una follia generalizzata. Basti pensare che, a livello nazionale, una legge urbanistica [14] che introducesse l’attenzione alla predisposizione delle “opere di urbanizzazione” tra le quali appunto le fognature, ponendo qualche limite all’uso indiscriminato del territorio sia stata approvata, tra mille difficoltà, solo nel 1967, con entrata in vigore posposta in parte al 1968.
[12] Significativo e poco noto l’esempio del centro storico di Varese: un impianto fognario realizzato negli anni ’30 raccoglie le sole acque nere provenienti dagli edifici e, addirittura attraversando in galleria un dosso collinare dalle parti di Belforte, le scarica in un prato irriguo – significativamente “il pravaccio” – ove servivano da fertilizzante. Ora il “pravaccio” mantiene la funzione supporta il depuratore consortile sull’Olona.
- [13] La soluzione di attivare reti fognarie ad acque miste, tradizionale nelle zone servite da grandi fiumi, come nella pianura padana, (es.nel milanese), è tuttora utilizzata nella valle dell’Olona, contigua al sistema idrico del Lago. Si tratta di una soluzione tecnica sempre meno compatibile con le moderne esigenze di depurazione tanto che i più attenti gestori di reti simili promuovono il graduale sdoppiamento delle reti con obbiettivo di portare a trattamento solo acque inquinate e lasciare nell’ambiente le acque meteoriche e sorgive.
[14] Si tratta della cosiddetta “Legge Ponte” n. 765 del 6 agosto 1967
Per il lago, si è detto, il disastro aveva dato le prime avvisaglie nel 1950, con comparsa di schiume, qualche moria di pesci, il calo graduale del pescato.
La Cooperativa dei Pescatori [15] , direttamente coinvolta, intraprese una causa per danni nei confronti dei Comuni e delle Imprese industriali responsabili degli scarichi a lago, ottenendo – purtroppo dopo decenni di procedimento, una – “sentenza (che)… ha accertato, avendo considerato che dall’inquinamento delle acque del lago era derivata la diminuita pescosità accusata dalla cooperativa e che ciascuno dei soggetti contro cui era stata rivolta la domanda aveva concorso con la propria condotta (l’immissione di scarichi inquinanti) a determinare il fenomeno (inquinamento delle acque) che nel suo complesso e per le caratteristiche assunte aveva a sua volta generato il fatto dannoso..” [16]
La situazione continuò a peggiorare e nei successivi decenni ’60 e ‘70, potè espandersi ed affermarsi senza praticamente vedere alcun serio intervento di arginatura. Solo negli anni ’60 la Provincia commissionò al Prof. De Fraja Frangipane del Politecnico di Milano lo studio di una soluzione per i problemi del Lago di Varese. La soluzione scelta [17] fu quella di realizzare un collettore circumlacuale che, intersecando tutte le condotte fognarie che recapitassero acque inquinate al lago, le convogliasse ad un depuratore, da realizzare in Comune di Gavirate in corrispondenza del Fiume Bardello. Correttamente tale collettore era dimensionato per convogliare soltanto i reflui inquinati (le cosiddette acque nere), lasciando al corso naturale ed al deflusso nel Lago le acque meteoriche e sorgive. Era stata anche curata la possibilità di avere uniforme pendenza della condotta rispetto agli ostacoli del terreno in modo di poter tenere la stessa il più possibile vicina alla quota del lago ma senza interruzioni altimetriche che comportassero interventi di sollevamento, ottenendo di poter prevedere un solo impianto di sollevamento dei liquami, in corrispondenza del Canale Brabbia. Piccoli impianti di sollevamento avrebbero poi permesso di servire le aree abitate con giacitura a quota inferiore a quella del collettore (es. Frazioni Groppello a Gavirate e Schiranna a Varese).
[15] , https://www.pescatorilagovarese.it/ La Coperativa, dopo aver faticosamente acquistato il privilegio di pesca sul lago negli anni ’20 ed aver impostato sullo stesso un’attività economica fondamentale per il sostentamento dei propri Soci e relative famiglie, esasperata per l’indifferenza generalizzata a fronte della perdita di pescato che annullava il contenuto del suo privilegio, dopo una denuncia penale conclusasi praticamente con un nulla di fatto, intentò una causa civile per danni contro tutti gli insediamenti più importanti che avessero scarichi nel Lago, in primis i Comuni. La causa (Avv. Modesti), si concluse nei primi anni ‘2000 con un indennizzo di 1,650 miliardi di Lire a carico di Comuni e qualche Ditta. https://www.varesenews.it/2001/10/ai-pescatori-del-lago-di-varese-un-indennizzo-di-1650-milioni/263211/
[16] Stralcio di una delle varie sentenza in avutesi nella causa: Corte di Cassazione Sez. III civ. 20 gennaio 1995 n.623
[17] Le soluzioni tecniche per il risanamento del Lago non erano affatto condivise. Tra interessi contrapposti per via dei fondi da investire, esperti veri o spacciantesi per tali, conclamata insipienza di amministratori pubblici, il dibattito durò anni. L’ultima battaglia fu tra i sostenitori di piccoli depuratori comunali o il collettore con un unico grande depuratore. Sul campo è rimasto appunto un depuratore comunale, a Gavirate Frazione Oltrona Groppello, tuttora esistente come modernariato, funzionò una settimana per consentire il collaudo ed il pagamento dell’Impresa costruttrice. aio 1995 n. 623.
Il progetto preliminare dell’opera fu presentato ai Comuni dallo stesso Prof. Frangipane all’incirca nel 1969 in una apposita riunione in Provincia. Da allora tutti i Comuni del bacino idrografico del Lago sanno perfettamente (cinquanta anni ad oggi), di dover adeguare le proprie reti fognarie al principio della separazione tra acque bianche e nere.
La Regione Lombardia, anticipando un quadro normativo nazionale che tardava a venire intervenne con la l. r. n. 48 del 1974: era previsto/auspicato la identificazione di comprensori territoriali entri i quali costituire consorzi responsabili del coordinamento, realizzazione e gestione di tutte le opere inerenti le risorse idriche, limiti di accettabilità per le acque di scarico e importanti disposizioni organizzative territoriali, anche se con qualche timidezza per gli insediamenti abitativi. Nel 1985 un’altra legge regionale n. 62/1985, avrebbe ulteriormente esteso le norme territoriali, in particolare obbligando i Comuni a dotarsi di precise disposizioni oltre che di un Regolamento per il servizio di fognatura.
Peraltro il quadro normativo in materia di tutela delle acque dall’inquinamento è stato radicalmente innovato con la c,d, “legge Merli” – L. 10 maggio 1976 n. 319 – che instaurava disposizioni di fondamentale riferimento per tutti gli interventi di gestione e tutela delle risorse idriche, indicando tempi e competenze per gli Enti territoriali Comuni, Provincie e Regioni, sanciva a livello nazionale limiti di accettabilità per le acque di scarico. Soprattutto – con riferimento al principio “chi inquina paga”, prevedeva che insieme alla tariffa di acquedotto sull’acqua scaricata ogni utente pagasse un contributo/ tassa destinato a compensare i servizi di fognatura e di depurazione. Da allora inizia un fatto – forse poco considerato – che tutti i gestori di servizi idrici (Comuni, Consorzi, Aziende varie), possono fruire su un “rivoletto” costante di risorse finalizzate allo sviluppo e gestione di reti ed impianti.
La legislazione statale e regionale – copiosa ma frammentaria come d’uso – si è poi ulteriormente evoluta. Basilare è la legge n. 36 del 05/01/1994 Legge Galli [18] , che ha affermato la natura pubblica di tutte le acque, escludendo la possibilità di acque “private”, ma soprattutto ha istituito il Servizio Idrico Integrato comprendente il ciclo integrale dell’acqua, dalla captazione fino alla depurazione (e, in prospettiva, al ricircolo). Inoltre ha previsto l’articolazione del servizio su porzioni di territorio adeguate per topografia e demografia, i c,d, Ambiti Territoriali Ottimali – ATO quale unico coordinatore. Per la Provincia di Varese, l’ ATO coincide territorialmente con la stessa Provincia, è stato frenato da ogni sorta di difficoltà, solo ora, a 25 anni dalla previsione normativa può cominciare a operare concretamente. [19] Ancora, la legge 36/1994 ha ulteriormente chiarito la definizione di tariffa idrica, consolidando il principio di remunerazione del servizio idrico in tutte le sue componenti. La legge è poi confluita nel D. Lgs. N, 152 del 3 aprile 2006, attuale normativa generale di riferimento che definisce il servizio pubblico integrato come “costituito dall’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue e deve essere gestito secondo principi di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto delle norme nazionali e comunitarie”.
[18] Il relatore, On.le Giancarlo Galli ( (13/02/1944), all’epoca deputato (DC), era stato Presidente della Provincia di Como e, successivamente, a più riprese Sindaco di Mozzate (CO). Gli va dato merito per aver sopportato moltissime difficoltà nel far recepire la legge in molte regioni impreparate, tra cui appunto, proprio la sua Regione Lombardia.
[19] I principi istituzionali della Legge, unificazione del servizio a livello di grande area e gestione unificata ed imprenditoriale, pur sacrosanti, hanno pestato i piedi a moltissimi soggetti, es. ai Comuni sottraendo loro la gestione dell’acquedotto/fognatura (sulla quale campavano di rendita incamerando i proventi tariffari senza fare manutenzioni), o appaltatori vari, con implicazioni “politiche” di vario tipo e valore. Per questo l’attuazione del Servizio Idrico Integrato ha avuto in alcune zone un iter molto difficoltoso. In Italia ci sono ambiti che operano pienamente da venti anni, Varese comincia praticamente adesso.
Proseguendo nel suo programma, la Provincia attivò la costituzione, con i Comuni, del Consorzio Provinciale per la Tutela e la Salvaguardia delle Acque del Lago di Varese, assegnandogli la funziona statutaria di attuare tutte le opere occorrenti. Fu poi incaricato l’ing. Teodoro Calegari di Varese per la progettazione esecutiva e la Direzione Lavori del collettore (progettato come detto dal Prof. De Fraia Frangipane), realizzato a lotti e portato a compimento intorno al 1986. Contestualmente venne realizzato il depuratore consortile ove confluiscono i due rami del collettore (circa Nord e Sud) con affidamento della gestione complessiva ad una Società :”Sogeiva Varese Ambiente S.p.A” appositamente costituita dalla Provincia insieme ad Enti vari e Comuni..
Si potè quindi iniziare il collegamento delle reti fognarie comunali, finalmente le rilevazioni sulle acque del lago poterono registrare un miglioramento.. purtroppo molto inferiore alle aspettative. In effetti, le reti fognarie comunali non erano in gran parte predisposte per il citato principio della separazione. Anche in presenza di modeste precipitazioni la portata complessiva delle immissioni diventa superiore a quella del collettore per cui “sfiora” riversandosi in parte nel lago. Il tanto aspettato risanamento della acque tornò ad essere più una speranza che un fatto concreto, era in pratica iniziata la fase storica “postcollettore” nella quale ci troviamo tuttora.
Naturalmente primi ad accorgersi della “frittata” furono il Consorzio e la SOGEIVA; questa nel 1991 commissionò all’Ing. Calegari [20]:
- Indagine: sugli allacciamenti di fognature comunali ai collettori consortili e sulla quantità e qualità delle loro portate qualità.
- Indagine sugli scarichi diretti di fognature comunali, industriali, private nel Lago di Varese e nei suoi affluenti.
- Importi attualizzati delle opere costruite in ciascun Comune a cura del Consorzio.
Il tecnico ha prodotto un elaborato che riporta i suoi numerosi e puntuali accertamenti, con risultati in linea con lo stato di approssimazione e scarsa efficienza tuttora in atto sul problema. Esposta una spesa complessiva delle opere eseguite di poco meno di 9 miliardi di Lire che, salvo chiarimenti, potrebbe essere la spesa viva sostenuta per la costruzione dl collettore stesso.
Pur mancando una chiara relazione di sintesi e chiari riferimenti topografici, emergono notevoli carenze esecutive e funzionali per quasi tutti gli allacciamenti comunali al collettore.
[20] L’elaborato prodotto dall’ing. Calegari fu probabilmente distribuito ai Comuni ed agli Enti interessati al Lago e per quanto si sappia non pubblicato.
All’epoca in alcuni casi risultavano mancanti anche tratti di rete fognaria comunale che, presumibilmente, ora sono stati attivati, con estensione delle reti a rincorrere la proliferazione degli insediamenti edilizi. Si ritiene correntemente che queste “estensioni” pur in genere realizzate con il principio della separazione, abbiano avuto il torto di diramarsi dalla rete originaria esistente in ogni comune, basata su condotte miste spesso installate negli alvei naturali.
Emerge comunque con chiarezza che, soprattutto in caso di pioggia, le portate affluenti al collettore fossero tali da dover essere “sfiorate” . E quindi una parte (che si rivela consistente) delle acque inquinate continua a defluire nel lago.
- Il lago di Varese sta vivendo un lungo periodo di eutrofizzazione delle sue acque che, a partire dagli anni Sessanta, ha assunto dimensioni rilevanti: si tratta di un fenomeno di “arricchimento delle acque in sali nutritivi che provoca cambiamenti tipici quali l’incremento della produzione delle alghe e di piante acquatiche, l’impoverimento delle risorse ittiche, la generale degradazione della qualità dell’acqua e altri effetti che ne riducono o precludono l’uso (OECD, 1982) “. I principali effetti negativi, dovuti a questo processo, si identificano nella limitata trasparenza delle acque, presenza di cattivi odori nelle zone di minore circolazione delle acque, morie episodiche di pesci, anossia degli strati di fondo da giugno ad ottobre, rilascio di nutrienti dai sedimenti, imponenti fioriture estive di specie algali, eccessiva presenza di macrofite relativamente ai canneti ed ai lamineti nelle zone di Biandronno, Cassinetta e località Schiranna.” [21]
La situazione descritta, sempre più nota e consolidata fino ad oggi e descritta in infinite rilevazioni e studi, ha portato ad un atteggiamento ampiamente irrazionale, con una valutazione degli interventi necessari invertita in termini di priorità: lasciando in penombra il problema base, cioè quello di ricondurre tutte le acque inquinate al collettore ed alla depurazione, si è esaltata la necessità di risanamento delle acque del lago.
In pratica, si è affermata la tendenza ad “iniziare dalla coda”. Probabilmente l’origine della strana inversione sta nel fatto che la rete fognaria – in alcuni casi da rifare e comunque da sottoporre ad un complesso e difficile lavori di riordino anche gestionale/amministrativo era competenza dei singoli Comuni, poco interessati a d una azione “scomoda” nei confronti dei propri amministrati/elettori, mentre il lago con le sue acque tormentate dalle fioriture di alghe tossiche e da morie di pesci costituisce un elemento di grande impatto anche emotivo ambientale, attrattivo per l’opinione pubblica e per tutti quanti – politici, Imprese o “inventori” – fossero alla ricerca di un’immagine o interessati all’impatto popolare (o economico) dell’esecuzione di grandi interventi di risanamento, sempre dati per “risolutivi”.
Su questa linea, si è avuta una vera fioritura di progetti o proposte, alcuni assolutamente seri e scientifici, altri assimilabili alle teorie terrapiattiste o delle scie chimiche, [22] tutti comunque viziati dal peccato originale di operare su un obbiettivo certamente legittimo ed auspicabile – asportare le sostanze inquinanti o “nutrienti” dalle acque del lago [23] – ma destinato ad essere vanificato nella realizzazione dalla persistente immissione delle stesse sostanza nel lago, per il mancato adeguamento delle condotte affluenti, sia per sfioro che per scarichi abusivi diretti o negli immissari.
[21] Derivato dalle rilevazioni A.S.L. di Varese su: www.portolago.com/lagoVarese/inquinamento/Inquinamento.htm
[22] Tra i progetti “creativi”, quello di svuotare (o quasi diminuendo il livello di 5 metri), il lago, provvedendo poi, lavorando all’asciutto ad asportare i fanghi del fondo e “sistemare gli scarichi” ripristinando poi il livello in un lago rinnovato, oppure operare con una zattera/officina che procedesse ad aspirare i fanghi del fondo, li filtrasse depurandone le acque scaricando a terra la risulta da smaltire, oppure la realizzazione di una condotta che raccogliesse le acque inquinate del Lago di Varese, e attraversando il lago portasse detti liquami direttamente al Canale Regina Elena nella valle del Ticino con una condotta di circa 18 Km in modo da utilizzare acque cariche di nutrienti quale irrigazione fertilizzante …
[23] Una efficace e divulgativa descrizione dei fenomeni legati alla stratificazione delle acque ed ai conseguenti effetti biologici è reperibile nel RAPPORTO SULLO STATO DELLE ACQUE” predisposto (2006) dalla AGENDA 21 LAGHI ed a cura della Dott. Francesca Lombardi e revisione della dott. Letizia Garibaldi dell’Università di Milano. http://www.agenda21laghi.it/Documenti.htm
Comunque, il problema del risanamento del Lago di Varese, con attuazione di concreti provvedimenti, è stato attentamente seguito dalla cittadinanza interessata, sempre più organizzata sia tramite le tradizionali Associazioni ambientalistiche sia da Comitati e Gruppi spontanei. Tra il 1995 e 1996 si ha un importante tentativo per la formazione di una Consulta delle Associazioni Ambientaliste, ad iniziativa della Associazione “CAMPUS” con sede in Cazzago Brabbia e presieduta da Vittorio Carlini. Si raccolse un ampio consenso, anche se purtroppo sul piano operativo non è mai arrivata ad incidere significativamente sulla situazione. [24] E’ stata anche proposta alla Provincia la costituzione di un Museo del Lago di Varese. [25]
In questi anni prende avvio il più importante – e sfortunato – progetto attuato dalla Provincia di Varese dopo il collettore. [26] Nel maggio 1994 la Provincia ha affidato all’Istituto Ambiente del CCR Ispra l’incarico per un PIANO D CONTROLLO E GESTIONE DEI FENOMENI DI EUTROFIZZAZZIONE DELLE ACQUE DEL LAGO DI VARESE . Detto piano, consegnato alla Provincia nel dicembre 1994, è stato inserito (e quindi finanziato), dal Ministero dell’Ambiente nel Piano Triennale per la tutela dell’Ambiente 1994 – 1996. Il Piano degli interventi, predisposto dal dott. Guido Premazzi, prevedeva:
- Il prelievo ipolimnico, cioè il prelievo delle acque profonde, ricche di nutrienti e sedimenti ma povere di ossigeno, inducendo la loro sostituzione con le acque superficiali, più ossigenate e meno inquinate attuato nel punto di massima profondità;
- Ossigenazione delle acque del lago nelle zone meno profonde con un apposito impianto articolato su stazioni di pompaggio a terra, punti distributori galleggianti ed unità di ossigenazione poste a profondità di 5 – 10 metri;
- Sistemazione dell’incile del Bardello.
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[24] una riunione costitutiva del 24 marzo 1996 identificava tra i principali obbiettivi la formazione di una banca dati per mettere a pubblica disponibilità le informazioni/dati scientifici sul problema Lago (stato effettivo delle acque, flora e fauna, depurazione e riciclo), provvedimenti seri per la rete fognaria il coordinamento delle norme urbanistiche territoriali. Sul piano organizzativo si era prevista la formazione di un Comitato di Gestione con gruppi di lavoro. Non è possibile in questa sede identificare le cause dell’insuccesso praticamente totale dell’iniziativa, probabilmente le stesse, in scala evidentemente informale, che hanno sempre condizionato gli interventi istituzionali: discontinuità ed inefficienza operativa sul lungo termine (tipica del volontariato), ottiche diverse, ecc.. Aderenti, (Da articolo sulla Prealpina intorno al 4 marzo1996 ) : Campus, Amici della Terra, WWF (2 sezioni), LIPU, Gruppo Laghetto, Associazione Riva del Lago, Musei Civici Varesini, Pro Gavirate, Legambiente, Cooperativa Pescatori, Ciclocittà, Italia Nostra, Baia del Re.
[25] Una lettera del 28 febbraio 1995 a firma Vittorio Carlini – Presidente CAMPUS – esponeva alla Provincia la proposta, con “progetto di massima” elaborato da un gruppo di lavoro comprendete Alba Bernard (storia del Lago), Paolo Cottini (vegetazione lacustre), Piergiorgio Zanetti (flora lacustre), Luigi Stadera e Giambattista Trotti (tradizione locale), Vittorio Zanetti. Si fa riferimento anche ad una mostra tenutasi al Chiostro di Voltorre nell’estate 1985 a cura di Alba Bernard.
[26] Dati scaricati il 10/02/2000 dal sito della Provincia http://www.provincia.va.it/ente/ambiente/soluzioni.htm, integrati da quelli esposti in riunione pubblica del 10 febbraio 1995. Adesso verificabili solo in Archivio della Provincia.
Il Piano/progetto è stato presentato al pubblico in una affollata assemblea tenutasi a Villa Ponti a Varese il 10 febbraio 1995. Dalla precisa e documentata esposizione tenuta dall’ing. Premazzi, emersero:
- Che il lago continuava a ricevere reflui inquinanti pari al 18,9 (tra questi quelli non residenziali per il 50% circa) degli A E (abitanti equivalenti) che gravavano sul bacino;
- Che il complesso sistema previsto avrebbe portato le acque al risanamento completo nell’arco di 14 anni circa, mentre l’analogo processo di risanamento naturale avrebbe richiesto almeno trent’anni;
- Che la gestione degli impianti, soprattutto in termini di consumi energetici per l’insufflazione, avrebbe comportato una spesa rilevante, dell’ordine di 600 milioni di lire annui;
- Che l’efficacia del progetto era radicalmente subordinata all’azzeramento delle immissioni di cui al punto 1).
Il progetto esecutivo degli interventi è stato poi approvato in via definitiva nel dicembre 1997 dalla Regione con D. P. 69511 del 10/12/1997 venne poi appaltato il 27 febbraio 1998 dalla Provincia all’Impresa Eurodepuratori S.p.a. di San Giacomo delle Segnate (MN) , con previsione di essere conclusi i lavori entro l’aprile 1999.
L’intero intervento – assistito da rilevanti contributi pubblici – comprese le spese di gestione per un periodo di 3,5 anni prevedeva una spesa di 8,5932 miliardi di Lire (non meno di 4 – 5 milioni di €). .La presentazione da parte della Provincia – con grande battage – del progetto RISANAMENTO DEL LAGO DI VARESE affermava che “..le operazioni …porteranno il lago di Varese a recuperare quasi totalmente la bellezza di un tempo”.
Il progetto fu poi effettivamente realizzato – salvo la previsione di “sistemazione dell’incile del Bardello” ed il complesso rimase in funzione dal 2000 al 2003, anno in cui fu dismesso, eufemisticamente “per scarsa efficacia in termini di rapporti costi/benefici”. In realtà si trattava di un insuccesso annunciato, in quanto nessuno mosse un dito per realizzare quanto al punto 4 ) delle indicazioni del progettista, cioè l’assenza di ulteriori immissioni inquinanti.
Sopravvissuto alla rimozione degli altri impianti, è rimasto in opera il sistema di prelievo ipolimnico. Colpevolmente abbandonato da quasi un ventennio, l’impianto potrebbe avere una utilità in quanto avvio, pur minimale, di una azione sussidiaria al ricambio delle acque, azione che dovrà diventare importante o forse essenziale dopo conseguito l’obbiettivo primario di bloccare le ulteriori immissioni inquinanti. A suo tempo il funzionamento del prelievo aveva portato a inconvenienti e contestazioni in quanto le acque dense di fango e inquinanti venivano scaricate nel Bardello. La soluzione naturale del problema . già sollecitata all’epoca ma tuttora valida – è quella di immettere le acque di risulta del prelievo nel depuratore, distante qualche centinaio di metri dalla “unità di strippaggio”, posta sulla riva del lago vicino alla diramazione del fiume. L’ipotesi è peraltro sempre ritenuta inattuabile per ragioni non chiarite, forse riconducibile (a parte le solite giustificazioni di spesa), alle difficoltà funzionali del depuratore, argomento sul quale si potrà tornare.
Altro progetto da citare, sempre su proposta della Provincia e sempre nel filone “acque del lago” è stato quello di ricorrere al procedimento Phoslock®, [27] con immissione nelle acque di un particolare materiale a base di argilla e Lantanio [28] avente la proprietà di associarsi chimicamente al Fosforo formando un precipitato sul fondo del bacino.
A parte la radicale considerazione che gli interventi sulle acque sono vanificati dalla presenza di ulteriori immissioni, resta da chiarire – indipendentemente dalle affermazioni dell’Impresa proponente – se, in prospettiva, lo strato di argilla contenente il fosforo depositato sul fondo non possa poi in diverse condizioni restituirlo all’ambiente lacustre, e se e quali effetti possa avere l’immissione nel ciclo biologico di un elemento del tutto nuovo come il Lantanio.
Comunque, dopo le solite discussioni e prese di posizione diverse, si è poi proceduto ad una sperimentazione, necessariamente molto parziale. Da una comunicazione – il 30 giugno 2011 – del competente Assessore Provinciale, è emerso che la sperimentazione aveva dato risultati favorevoli anche se da sottoporre ad ulteriore approfondimento presso l’Osservatorio del Lago di Varese. Sembrerebbe pacifico, per quanto detto, che comunque l’eventuale ricorso al Lantanio dovrà aspettare a dopo la conclusione dell’adeguamento delle rete degli scarichi.
[27] Per i dati tecnici – di parte – sul trattamento vv. http://www.phoslock.eu/it/ . Phoslock®, prodotto ideato per il risanamento dei corpi idrici soggetti al fenomeno dell’eutrofizzazione, composto da un’argilla modificata mediante aggiunta di ioni di lantanio, metallo che rappresenta, appunto, il “principio attivo” del Phoslock®. I cationi di lantanio permettono di catturare attraverso un legame ionico il fosforo reattivo presente in acqua.
[28] LANTANIO: in tabella Mendelief Gruppo “terre Rare” simile all’alluminio. Simbolo: La Numero Atomico: 57 Massa Atomica: 138,9 Temperatura di Fusione: 920° Temperatura di Ebollizione: 3454° Energia di Ionizzazione: 538 Kj/mol Elettronegatività: 1,1 Densità: 6,17 Numeri di Ossidazione: +3 Configurazione Elettronica: 1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 3d10 4s2 4p6 4d10 5s2 5p6 5d1 6s2
Nel 2004, dopo il naufragio dello sbandierato “risanamento del lago”, anche sotto la spinta di un’opinione pubblica [29] sensibile ai temi ambientali e perplessa sulla carenza di “governo” [30] del problema, la Provincia ha istituito l”Osservatorio del lago di Varese” per il coordinamento degli Enti/Società/Agenzie/Associazioni coinvolti nelle attività di tutela, gestione e valorizzazione del lago stesso. L’attività dell’Osservatorio si svolge in base a un protocollo di intesa valido per cinque anni, e il cui ultimo rinnovo risale al 2015.
[29] Si veda tra l’altro la precedente nota 24.
[30] La necessità di un unico organo di riferimento per tutte le problematiche del Lago è sempre stata evidente, segnalata pubblicamente ad esempio, dalla Associazione ambientalista “Amici delle Terra” fino dai primi anni ’90, con la proposta di utilizzare il Consorzio Provinciale, opportunamente riformato nello Statuto e nella organizzazione.
Soggetti costituenti:
1. Provincia di Varese
2. Comune di Azzate
3. Comune di Bardello
4. Comune di Biandronno
5. Comune di Bodio Lomnago
6. Comune di Buguggiate
7. Comune di Cazzago Brabbia
8. Comune di Daverio
9. Comune di Galliate Lombardo
10. Comune di Gavirate
11. Comune di Inarzo
12. Comune di Varese
13. A.R.P.A. Settore Monitoraggi Ambientali
14. A.S.L. di Varese
15. Associazioni ambientaliste della Provincia di Varese
16. Autorità di Bacino lacuale dei laghi Maggiore, Comabbio, Monate e Varese
17. Cooperativa Pescatori del Lago di Varese
18. Consorzio Utenti delle Acque del Fiume Bardello
19. Mi.B.A.C.T. – Soprintendenza Archeologia della Lombardia
20. Regione Lombardia – Direzione Ambiente, Energia e Reti
21. Società per la Tutela e la Salvaguardia delle Acque del Lago di Varese e Lago di Comabbio S.p.A./Gestore Unico del Servizio Idrico Integrato in provincia di Varese
22. Ufficio d’Ambito della Provincia di Varese
23. Università degli Studi dell’Insubria.
Non sono reperibili, allo stato, notizie di concrete realizzazioni dell’Osservatorio, sia pure al livello meramente propositivo spettante. E presumibile che essa non sia stata soddisfacente, se nel 2011 gli stessi Comuni chiamati a far parte dell’Osservatorio hanno costituito una Associazione dei Comuni Rivieraschi, presentata al pubblico nella sede del Comune di Bodio Lomnago con una conferenza stampa il 6 maggio 2011.
L’Osservatorio, pur nei suoi limitati poteri e funzionalità, oltre alla remora (anch’essa ricorrente) di non rappresentare tutti i Comuni del bacino imbrifero del Lago ma soltanto quelli rivieraschi (gli stessi dell’”associazione”), è Stato certamente un passo nella direzione giusta per un approccio fattivo alla problematica, soprattutto per la necessaria visione d’insieme. . Dopo l’ultimo rinnovo del protocollo costitutivo, a partire dal 2015, L’osservatorio ha costituito un Comitato Tecnico Scientifico (2015) ha esaminato uin progetto predisposto da SOGEIVA per interventi di riordino al Collettore (2016), poi ha focalizzato la sua attenzione sulle priorità di impianti da realizzare/attivare per il risanamento delle acque, con attenzione per la possibile riattivazione dell’impianto di prelievo ipolimnico (2017). Nel 2018, ha infine preso atto dei due elaborati: [31]
Dei due elaborati, il primo datato dicembre 2017, redatto dall’Ing. Luca Marelli del Gruppo SIAI di Laveno Mombello su incarico professionale dalla Provincia, comprende un rilievo sullo stato conservativo e potenzialità funzionali dell’impianto esistente, indicando gli interventi prevedibili per la riattivazione con quantificazione della spesa, ferma la possibilità di attuare invece il definitivo smantellamento. In pratica, per quanto accertabile, un pre progetto presumibilmente destinato ad essere base di progetto esecutivo da appaltare. La spesa indicata per lavori prevede € 1,26 milioni, oltre a costi annuali gestionali per € 102.297,60 per energia, € 45.000 per monitoraggio ed € 54.000 di manutenzione ordinaria annuale. La demolizione integrale dell’impianto è quantificata in € 704.700.
La proposta progettuale dovrebbe essere attentamente valutata, soprattutto per i rilevanti costi gestionali, anche in rapporto alle scelte funzionali. A tal proposito, considerando che viene prevista una tubazione di scarico nel Bardello prolungata fino ad attraversare tutta l’area di impianto del depuratore, continua ad essere inspiegato perché l’acqua di prelievo non possa essere semplicemente immessa in testa al depuratore, semmai associando l’immissione ad un potenziamento della capacità di trattamento da parte dello stesso, ad esempio associando agli impianti del depuratore la centrale di ossigenazione delle acque stesse, ora prevista nella stazione di pompaggio, con serbatoio dell’ossigeno esterno, presso la confluenza Lago-Bardello.
Per l’elaborato n. 2, ne è disponibile in altro sito una versione datata 2019 che si può esaminare in dettaglio come sostitutiva.
Infatti anche per la scadenza del quinquennio di durata del citato protocollo Regione – Provincia – Comuni rivieraschi [32], si può ritenere che l’Osservatorio, sia confluito nell’ Accordo Quadro di Sviluppo Territoriale – AQST “SALVAGUARDIA E RISANAMENTO DEL LAGO DI VARESE”
La nuova struttura, costituita formalmente nel marzo 2019 con sottoscrizione formale dell’atto costitutivo, ha consentito di ampliare il quadro di partecipazione, consolidando l’ambito di competenza operativa a tutto il bacino idrografico del Lago e quindi a tutti gli Enti territoriali (Comuni), competenti.
Rispetto all’Osservatorio ha conservato la struttura operativa con un Comitato di Coordinamento, comprendente i rappresentanti di tutti i sottoscrittori dell’Accordo presieduto dall’Assessore Regionale Ambiente e Clima e da una Segreteria Tecnica, più ristretta, con esperti indicati dai Sottoscrittori. Soggetto Responsabile è la Regione Lombardia.
L’operatività è assicurata in concreto tramite la formulazione di un Programma….
[2] Glaciazione wurm durata 110.000 anni e terminata intorno al 12.000 a.c.
[3] La descrizione “tecnica geologica” è ripresa dalla pubblicazione: Osservatorio dei Laghi Lombardi questa pubblicazione, ricchissima di dati soprattutto sulla qualità chimica e biologica delle acque si fa riferimento nella versione online – non essendosi reperita la versione cartacea dotata altresì di un CD-Rom allegato – per dati tecnici e geologici dei Laghi qui citati, in particolare oltre al Varese, a quelli di Comabbio e Monate.
[4] Sui dati di superficie occorre un chiarimento: I dati OLL citati non combaciano con i corrispondenti dati dell’ “ALLEGATO 1 AQST “SALVAGUARDIA E RISANAMENTO DEL LAGO DI VARESE” pubblicato sul sito AQST dove con un’illustrazione si presenta il bacino imbrifero comprendente anche lo specchio del lago di Comabbio (oltre ai bacini minori), ma la superficie del lago sembra limitata a quello di Varese. I dati delle schede OLL soprariportati identificano autonomamente i due bacini e quindi i dati geografici sembrerebbero sommabili.
[5] Si ritiene che il massiccio calcareo del Campo dei Fiori – come altri rilievi analoghi, in particolare il Monte Baldo sul Lago di Garda – sia stato durante le glaciazioni una sorta di isola emergente da un enorme massa di ghiacci, percorsa da correnti d’acqua che hanno creato importanti fenomeni carsici, oggi esistenti e in parte noti anche se praticamente inattivi. Traccia di ciò anche nella flora, con l’esistenza di specie endemiche caratteristiche di climi glaciali.
[6] Altre importanti sorgenti provenienti dal Campo dei Fiori ed allacciate ad acquedotti, quella di Orino, la Fonte del Ceppo presso Santa Maria del Monte a Varese.
[7] La pesca nel Lago, oltre che base di sussistenza per la popolazione locale fu molto importante a livello più ampio territoriale, tanto da essere – a partire dal dominio spagnolo su Milano – oggetto di privilegio sui diritti di pesca, tuttora in capo alla Società Cooperativa Pescatori del Lago di Varese che lo ha acquisito nel 1922 in base al T.U.sulla pesca n. 160471931, art. 26 . Esiste ampia bibliografia in materia, si segnalano qui due pieghevoli “detours SUL LAGO DI VARESE” e “il lavoro del pescatore” editi a cura della Associazione Culturale TERRA INSUBRE .
[8] Ad esempio, la “lisca” materia prima per l’impagliatura delle sedie, un tempo diffusissima..
[9] Celebre un’antica iscrizione presso l’Abbazia di Fontenay in Borgogna: una lode al fiume che attraversa l’Abbazia, fornendo l’acqua per la vita, azionando con la sua energia il maglio ed il mulino, poi purificando indumenti e suppelletili con il suo lavaggio, ed infine trascinando con sè tutti i rifiuti, lasciando tutto mondato e vitale.
[10] Termine poco scientifico ma molto usato.
[11] Un detto dialettale, a proposito delle acque libere dei ruscelli che veniva utilizzata per bere, asserisce che “quando l’acqua ha fatto tre cadute, chiunque la può bere” (in dialetto “ quand l’acqua l’ha fai tre tomm, la pö bêv qualchesia galantomm”
[12] Significativo e poco noto l’esempio del centro storico di Varese: un impianto fognario realizzato negli anni ’30 raccoglie le sole acque nere provenienti dagli edifici e, addirittura attraversando in galleria un dosso collinare dalle parti di Belforte, le scarica in un prato irriguo – significativamente “il pravaccio” – ove servivano da fertilizzante. Ora il “pravaccio” mantiene la funzione supporta il depuratore consortile sull’Olona.
[13] La soluzione di attivare reti fognarie ad acque miste, tradizionale nelle zone servite da grandi fiumi, come nella pianura padana, (es.nel milanese), è tuttora utilizzata nella valle dell’Olona, contigua al sistema idrico del Lago. Si tratta di una soluzione tecnica sempre meno compatibile con le moderne esigenze di depurazione tanto che i più attenti gestori di reti simili promuovono il graduale sdoppiamento delle reti con obbiettivo di portare a trattamento solo acque inquinate e lasciare nell’ambiente le acque meteoriche e sorgive.
[14] Si tratta della cosiddetta “Legge Ponte” n. 765 del 6 agosto 1967.
[15] https://www.pescatorilagovarese.it/ La Coperativa, dopo aver faticosamente acquistato il privilegio di pesca sul lago negli anni ’20 ed aver impostato sullo stesso un’attività economica fondamentale per il sostentamento dei propri Soci e relative famiglie, esasperata per l’indifferenza generalizzata a fronte della perdita di pescato che annullava il contenuto del suo privilegio, dopo una denuncia penale conclusasi praticamente con un n ulla di fatto, intentò una causa civile per danni contro tutti gli insediamenti più importanti che avessero scarichi nel Lago, in primis i Comuni. La causa (Avv. Modesti), si concluse nei primi anni ‘2000 con un indennizzo di 1,650 miliardi di Lire a carico di Comuni e qualche Ditta. https://www.varesenews.it/2001/10/ai-pescatori-del-lago-di-varese-un-indennizzo-di-1650-milioni/263211/
[16] Stralcio di una delle varie sentenza in avutesi nella causa: Corte di Cassazione Sez. III civ. 20 gennaio 1995 n. 623.
[17] Le soluzioni tecniche per il risanamento del Lago non erano affatto condivise. Tra interessi contrapposti per via dei fondi da investire, esperti veri o spacciantesi per tali, conclamata insipienza di amministratori pubblici, il dibattito durò anni. L’ultima battaglia fu tra i sostenitori di piccoli depuratori comunali o il collettore con un unico grande depuratore. Sul campo è rimasto appunto un depuratore comunale, a Gavirate Frazione Oltrona Groppello, tuttora esistente come modernariato, funzionò una settimana per consentire il collaudo ed il pagamento dell’Impresa costruttrice.
[18] Il relatore, On.le Giancarlo Galli ( (13/02/1944), all’epoca deputato (DC), era stato Presidente della Provincia di Como e, successivamente, a più riprese Sindaco di Mozzate (CO). Gli va dato merito per aver sopportato moltissime difficoltà nel far recepire la legge in molte regioni impreparate, tra cui appunto, proprio la sua Regione Lombardia.
[19] I principi istituzionali della Legge, unificazione del servizio a livello di grande area e gestione unificata ed imprenditoriale, pur sacrosanti, hanno pestato i piedi a moltissimi soggetti, es. ai Comuni sottraendo loro la gestione dell’acquedotto/fognatura (sulla quale campavano di rendita incamerando i proventi tariffari senza fare manutenzioni), o appaltatori vari, con implicazioni “politiche” di vario tipo e valore. Per questo l’attuazione del Servizio Idrico Integrato ha avuto in alcune zone un iter molto difficoltoso. In Italia ci sono ambiti che operano pienamente da venti anni, Varese comincia praticamente adesso..
[20] L’elaborato prodotto dall’ing. Calegari fu probabilmente distribuito ai Comuni ed agli Enti interessati al Lago e per quanto si sappia non pubblicato.
[21] Derivato dalle rilevazioni A.S.L. di Varese su: www.portolago.com/lagoVarese/inquinamento/Inquinamento.htm
[22] Tra i progetti “creativi”, quello di svuotare (o quasi diminuendo il livello di 5 metri), il lago, provvedendo poi, lavorando all’asciutto ad asportare i fanghi del fondo e “sistemare gli scarichi” ripristinando poi il livello in un lago rinnovato, oppure operare con una zattera/officina che procedesse ad aspirare i fanghi del fondo, li filtrasse depurandone le acque scaricando a terra la risulta da smaltire, oppure la realizzazione di una condotta che raccogliesse le acque inquinate del Lago di Varese, e attraversando il lago portasse detti liquami direttamente al Canale Regina Elena nella valle del Ticino con una condotta di circa 18 Km in modo da utilizzare acque cariche di nutrienti quale irrigazione fertilizzante …
[23] Una efficace e divulgativa descrizione dei fenomeni legati alla stratificazione delle acque ed ai conseguenti effetti biologici è reperibile nel RAPPORTO SULLO STATO DELLE ACQUE” predisposto (2006) dalla AGENDA 21 LAGHI ed a cura della Dott. Francesca Lombardi e revisione della dott. Letizia Garibaldi dell’Università di Milano.
http://www.agenda21laghi.it/Documenti.htm
[24] una riunione costitutiva del 24 marzo 1996 identificava tra i principali obbiettivi la formazione di una banca dati per mettere a pubblica disponibilità le informazioni/dati scientifici sul problema Lago (stato effettivo delle acque, flora e fauna, depurazione e riciclo), provvedimenti seri per la rete fognaria il coordinamento delle norme urbanistiche territoriali. Sul piano organizzativo si era prevista la formazione di un Comitato di Gestione con gruppi di lavoro. Non è possibile in questa sede identificare le cause dell’insuccesso praticamente totale dell’iniziativa, probabilmente le stesse, in scala evidentemente informale, che hanno sempre condizionato gli interventi istituzionali: discontinuità ed inefficienza operativa sul lungo termine (tipica del volontariato), ottiche diverse, ecc.. Aderenti, (Da articolo sulla Prealpina intorno al 4 marzo 1996):Campus, Amici della Terra, WWF (2 sezioni), LIPU, Gruppo Laghetto, Associazione Riva del Lago, Musei Civici Varesini, Pro Gavirate, Legambiente, Cooperativa Pescatori, Ciclocittà, Italia Nostra, Baia del Re.
[25] Una lettera del 28 febbraio 1995 a firma Vittorio Carlini – Presidente CAMPUS – esponeva alla Provincia la proposta, con “progetto di massima” elaborato da un gruppo di lavoro comprendete Alba Bernard (storia del Lago), Paolo Cottini (vegetazione lacustre), Piergiorgio Zanetti (flora lacustre), Luigi Stadera e Giambattista Trotti (tradizione locale), Vittorio Zanetti. Si fa riferimento anche ad una mostra tenutasi al Chiostro di Voltorre nell’estate 1985 a cura di Alba Bernard.
[26] Dati scaricati il 10/02/2000 dal sito della Provincia http://www.provincia.va.it/ente/ambiente/soluzioni.htm, integrati da quelli esposti in riunione pubblica del 10 febbraio 1995. Adesso verificabili solo in Archivio della Provincia.
[27] Per i dati tecnici – di parte – sul trattamento vv. http://www.phoslock.eu/it/ . Phoslock®, prodotto ideato per il risanamento dei corpi idrici soggetti al fenomeno dell’eutrofizzazione, composto da un’argilla modificata mediante aggiunta di ioni di lantanio, metallo che rappresenta, appunto, il “principio attivo” del Phoslock®. I cationi di lantanio permettono di catturare attraverso un legame ionico il fosforo reattivo presente in acqua.
[28] LANTANIO: in tabella Mendelief Gruppo “terre Rare” simile all’alluminio. Simbolo: <<LA Numero Atomico: 57 Massa Atomica: 138,9 Temperatura di Fusione: 920° Temperatura di Ebollizione: 3454° Energia di Ionizzazione: 538 Kj/mol Elettronegatività: 1,1 Densità: 6,17 Numeri di Ossidazione: +3 Configurazione Elettronica: 1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 3d10 4s2 4p6 4d10 5s2 5p6 5d1 6s2
[29] Si veda tra l’altro la precedente nota 24.
[30] La necessità di un unico organo di riferimento per tutte le problematiche del Lago è sempre stata evidente, segnalata pubblicamente ad esempio, dalla Associazione ambientalista “Amici delle Terra” fino dai primi anni ’90, con la proposta di utilizzare il Consorzio Provinciale, opportunamente riformato nello Statuto e nella organizzazione.
[31] Entrambi scaricabili direttamente dal sito http://www.provincia.va.it/it/82900/Attivita-Osservatorio
[32] A latere dell’Osservatorio e dell’AQTS continua ad operare la Associazione dei Comuni Rivieraschi, con periodiche riunioni dei Sindaci, che trattano – che si sappia a livello informale e quindi senza verbalizzazioni o regolare produzione di documenti – argomenti vari più o meno inerenti il Lago e di comune interesse nell’azione amministrativa comunale.